Galliani, Berlusconi e Moratti sono gli unici dirigenti “romantici” del calcio italiano; in Europa e nel Mondo pochi altri come loro.
L’arrivo di Ronaldinho al Milan, del quale sono personalmente molto contento, è un tipico gesto d’amore del nostro Presidente al suo Milan e a sé stesso. Il narciso che è in lui sublima solo al pensiero di poter vedere in campo una squadra con Seedorf - Kakà – Ronaldinho – Pato là davanti. Un progetto bellissimo sulla carta che, però, sarà di difficilissima realizzazione nel campionato italiano, soprattutto se l’obiettivo dichiarato è di vincere (e aggiungiamoci i giovedì sera in Uefa senza anticipi).
Ronaldinho è un fuoriclasse il cui corteggiamento è durato giorni, mesi, anni. È reduce da una stagione da dimenticare: infortuni veri o presunti ne hanno minato continuità e classe. Ma, nonostante tutto, l’ha messa in fondo al sacco 8 volte in 17 gare giocate; rimane un campione in grado di vincere dappertutto e, soprattutto di far vincere.
Il vero acquisto, però, il Milan l’ha fatto fuori dal campo. Così come l’affare Beckam a Madrid, l’arrivo di Bugs Bunny porterà certamente un giro d’affari relativo a vendita di maglie e gadgets non di poco conto. E non dimentichiamo il fascino verso i tifosi più giovani, quelli che stressano i genitori per avere di tutto di più del loro idolo.
Ronaldo de Assis Moreira, aka Ronaldinho Gaucho, è nato a Porto Alegre (la città dove sono cresciuti Falcao, Dunga, Emerson e Pato).
Durante una partita locale, all'età di 13 anni, segna 23 gol tutti insieme; i media si accorgono “casualmente” delle sue potenzialità e la sua reputazione cresce in fretta grazie al talento con cui porta il Brasile alla vittoria del Mondiale under 17 nel ‘97.
La carriera professionistica inizia nel Gremio, esordendo nella Copa Libertadores del 1998. L’anno seguente arriva in nazionale: è il 26 giugno 1999, esordio bagnato con un gol al Venezuela.
Nel 2001 firma con i francesi del Paris Saint-Germain, sostenendo che per ambientarsi in Europa “è meglio cominciare con un campionato meno difficile, come quelli di Francia o Portogallo”. Nel 2002 è tra i protagonisti del Mondiale vinto dal Brasile, nel 2003, dopo aver cercato di prendere Beckham (che andò a Madrid), il Barcellona ingaggia il Gaucho e non se ne pentirà.
Tre splendidi anni poi, alla fine del 2006, qualcosa comincia a cambiare nella testa del giocatore, che nel frattempo (2005) ha vinto il Pallone d'Oro. Il rapporto con la società arriva ai minimi termini nella scorsa stagione: Dinho appare fuori forma, svogliato e lontano dal campione che era.
Poi la corte del Milan e il “lieto fine” di ieri sera. Da milanista mi auguro di rivedere il Ronaldinho che ci fece impazzire in Champions, ubriacandoci di dribbling e creando dal nulla un assist per Giuly praticamente perfetto come il cerchio di Giotto.
L’arrivo di Ronaldinho al Milan, del quale sono personalmente molto contento, è un tipico gesto d’amore del nostro Presidente al suo Milan e a sé stesso. Il narciso che è in lui sublima solo al pensiero di poter vedere in campo una squadra con Seedorf - Kakà – Ronaldinho – Pato là davanti. Un progetto bellissimo sulla carta che, però, sarà di difficilissima realizzazione nel campionato italiano, soprattutto se l’obiettivo dichiarato è di vincere (e aggiungiamoci i giovedì sera in Uefa senza anticipi).
Ronaldinho è un fuoriclasse il cui corteggiamento è durato giorni, mesi, anni. È reduce da una stagione da dimenticare: infortuni veri o presunti ne hanno minato continuità e classe. Ma, nonostante tutto, l’ha messa in fondo al sacco 8 volte in 17 gare giocate; rimane un campione in grado di vincere dappertutto e, soprattutto di far vincere.
Il vero acquisto, però, il Milan l’ha fatto fuori dal campo. Così come l’affare Beckam a Madrid, l’arrivo di Bugs Bunny porterà certamente un giro d’affari relativo a vendita di maglie e gadgets non di poco conto. E non dimentichiamo il fascino verso i tifosi più giovani, quelli che stressano i genitori per avere di tutto di più del loro idolo.
Ronaldo de Assis Moreira, aka Ronaldinho Gaucho, è nato a Porto Alegre (la città dove sono cresciuti Falcao, Dunga, Emerson e Pato).
Durante una partita locale, all'età di 13 anni, segna 23 gol tutti insieme; i media si accorgono “casualmente” delle sue potenzialità e la sua reputazione cresce in fretta grazie al talento con cui porta il Brasile alla vittoria del Mondiale under 17 nel ‘97.
La carriera professionistica inizia nel Gremio, esordendo nella Copa Libertadores del 1998. L’anno seguente arriva in nazionale: è il 26 giugno 1999, esordio bagnato con un gol al Venezuela.
Nel 2001 firma con i francesi del Paris Saint-Germain, sostenendo che per ambientarsi in Europa “è meglio cominciare con un campionato meno difficile, come quelli di Francia o Portogallo”. Nel 2002 è tra i protagonisti del Mondiale vinto dal Brasile, nel 2003, dopo aver cercato di prendere Beckham (che andò a Madrid), il Barcellona ingaggia il Gaucho e non se ne pentirà.
Tre splendidi anni poi, alla fine del 2006, qualcosa comincia a cambiare nella testa del giocatore, che nel frattempo (2005) ha vinto il Pallone d'Oro. Il rapporto con la società arriva ai minimi termini nella scorsa stagione: Dinho appare fuori forma, svogliato e lontano dal campione che era.
Poi la corte del Milan e il “lieto fine” di ieri sera. Da milanista mi auguro di rivedere il Ronaldinho che ci fece impazzire in Champions, ubriacandoci di dribbling e creando dal nulla un assist per Giuly praticamente perfetto come il cerchio di Giotto.
Benvenuto Dinho!
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